In uscita in Italia il 31 marzo Lunana: A Yak in the Classroom è un film diretto da Pawo Choyning Dorji, con il quale il fotografo Bhutanese debutta alla regia. L’opera è un elogio agli ambienti naturali e fuori dal tempo del Bhutan, paese d’origine del regista situato tra la Cina e l’India, lungo la catena dell’Himalaya, che percorre regioni nelle quali la presenza dell’uomo quasi non ha lasciato traccia nel tempo, per via della popolazione poco numerosa e dello stile di vita prevalentemente pastorale in armonia con la natura circostante. Protagonista di questo viaggio è Ugyen, un giovane insegnante che sogna però di condurre una vita più agiata e libera in Australia, e di perseguire una carriera da cantante lontano dalle tradizioni e dall’arretratezza del Bhutan. Suo malgrado verrà punitivamente assegnato nel suo ultimo anno da maestro a Lunana, un villaggio isolato sulle montagne a 8 giorni di cammino dall’ultimo centro abitato dotato di elettricità, dove lo attende una classe di 9 bambini.
Nonostante le buone intenzioni il film presenta notevoli e seri problemi davvero impossibili da ignorare; tolti gli scenari mozzafiato che vengono mostrati il resto dell’opera suscita purtroppo un imbarazzo e a momenti un’involontaria ironia, dovuti alla pessima performance della recitazione, alla scrittura moralista e conservatrice, e spesso infelice, della trama e alla superficialità dei personaggi, tanto banali da sembrare delle caricature. Se ciò non fosse sufficiente l’intera vicenda è impregnata di una morale nazionalistica dai toni propagandistici, che specialmente agli occhi di un pubblico occidentale contemporaneo può risultare imbarazzante e sgradevole.
Perché essere critici?
Nonostante i suoi difetti l’opera ha sicuramente il merito di aver mostrato al mondo un luogo magico poco conosciuto, una realtà in cui la popolazione locale vive sicuramente una vita semplice e a volte molto povera, senza elettricità, praticamente isolati sulle montagne dell’Himalaya lontani dal resto del mondo; ma anche a stretto contatto con la natura, con una cultura caratteristica fatta di canzoni dei pastori e pascoli di yak, di ambienti paradisiaci e bucolici dove una ciotola di legno o della carta sono considerati oggetti preziosi, quasi sacri.
Forse sarebbe stato più efficace girare il film in forma di film documentario, in quanto è evidente l’amore verso queste realtà così preziose e l’intenzione di valorizzarle, come sono innegabili sia la bellezza e la magia delle atmosfere mostrate, sia le ombre che si sono volute coraggiosamente denunciare di una nazione a metà tra la tradizione antica e la possibilità di vivere una vita in una pace assoluta in un paradiso incontaminato, e una condizione di isolamento, povertà e arretratezza.
Il problema di Lunana però sta nel suo presentarsi come film; se preso in considerazione come tale purtroppo non si può, in nome dell’inclusione ad ogni costo e del riconoscimento delle buone intenzioni, non ammettere che la pellicola sia un prodotto imbarazzante.
Un problema più serio, la propaganda nazionalista
Per tutta la durata della pellicola è presente una vera e propria propaganda nazionalista in favore del governo: svariati personaggi oltre a disapprovare le intenzioni del protagonista di andare a vivere in Australia non perdono occasione di sottolineare come chiunque al posto suo sarebbe onorato e felice di lavorare per il governo; viene inoltre esplicitato in toni orgogliosi ed elogianti come il buon governo si assicuri che ogni bambino del Bhutan abbia un’istruzione, anche in luoghi seriamente isolati come Lunana. Durante le presentazioni in seguito quando il protagonista chiede a ogni bambino cosa vorrà fare da grande uno di loro risponde che il suo sogno è lavorare per il governo, emblematico sogno di ogni bambino. Di scene ce ne sarebbero anche altre, ad esempio quella in cui i bambini, come ogni mattina prima delle lezioni, si mettono sull’attenti come soldati e cantano l’inno nazionale di fronte alla bandiera del paese, una scena dai tratti militaristici e disturbanti, ma il punto è probabilmente già chiaro: l’intero film è pregno di una propaganda nazionalista eccessiva e un po’ infelice che sopratutto agli occhi di un pubblico occidentale non può non risultare fastidiosa, emergente da scene che nei nostri media e prodotti liberi dall’influenza di governi e condizionamenti ideologici non siamo più abituati a vedere o giustamente a tollerare.
Altri problemi: I personaggi, la recitazione, il moralismo e la mistificazione
Come anticipato purtroppo tutti gli altri aspetti della pellicola presentano problemi seri. La scrittura, di per sé banale, è caratterizzata da una morale anacronistica e molto conservatrice, estremamente giudicante nei confronti dei più giovani. Ugyen incarna lo stereotipo vivente di un ragazzo che agli occhi di generazioni più anziane suscita disapprovazione e sentenze molto negative e nette solo perché non condivide i loro stessi valori o perché parte di un nuovo mondo che non sono in grado di comprendere; questo biasimo moralista e retrogrado però assume dei toni tanto marcati da risultare irrealistici e caricaturali. Essendo Ugyen un giovane ovviamente indossa le sue cuffie per ascoltare musica ventiquattro ore su ventiquattro, anche in momenti e contesti in cui nessuno le indosserebbe, essendo giovane disprezza e manca di rispetto a tutto ciò che ha a che fare con la tradizione o la cultura del suo paese, e lo fa a prescindere senza che venga mai accennata un’origine di questo risentimento nel suo vissuto, lo fa in quanto giovane. Essendo giovane manca di rispetto alla nonna, ignorandola quando gli rivolge la parola e salutandola a malapena, ed è così chiuso in sé stesso da essere maleducato anche nei confronti del più gentile e disponibile dei personaggi. Tutto questo ovviamente solo fino al suo soggiorno a Lunana, che gli fa aprire gli occhi, capire dove sbagliava e apprezzare i lati semplici e tradizionali della vita, un cambiamento rivoluzionario profondo e maturo per nulla retrogrado e infantile mai visto prima nella storia del cinema.
A infierire, non sufficiente l’ideologia dietro alle scene, contribuisce la qualità della recitazione macchiettistica e involontariamente ironica: ad esempio in una scena d’inizio film Ugyen è seduto in una stanza in attesa di essere chiamato per un colloquio di lavoro, nonostante sia il suo turno a breve porta le cuffie e quindi la segretaria è costretta a chiamarlo più volte, e dopo averlo fatto guarda in basso scuotendo la testa in segno di forte disapprovazione. La scena che ancora rappresenta Ugyen come un ragazzo chiuso nel suo mondo e che non si cura di nulla, è carica di moralismo e pregiudizio e la resa scenica è tanto sopra le righe da risultare comica, e questo purtroppo è lo stile dell’intera pellicola.