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PAPI CHULO | La diversità che risolve la crisi

A volte si rischia di dimenticare che L. A. non è solo Hollywood. La patinata capitale mondiale dell’industria cinematografica è una città in cui convivo diverse anime e, quando i suoi mondi, a volte agli antipodi, si incrociano, si creano situazioni umane emblematiche, bizzarre, ma anche drammatiche. È quello che accade in Papi Chulo, terzo lungometraggio del regista irlandese John Butler, presentato alla 36. edizione del Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile.

Su una vena comica di fondo, a volte esilarante a volte tenera, Papi Chulo sviluppa temi razziali e argomenti socio-economici con un tono delicato e sincero. John Butler, regista e sceneggiatore di questo racconto davvero completo, non si fa scrupolo di prendere a riferimento qualche stereotipo sui gay e sui latino-americani per costruire la storia di un’amicizia, quantomai singolare e improbabile, ma vivida e fertile.

Sean (Matt Bomer, I Magnifici 7, 2016) è un giovane e avvenente gay bianco, famoso metereologo televisivo che, per via di un recente e doloroso abbandono, cade improvvisamente in una profonda crisi emotiva a causa della quale viene messo in ferie forzate. Quasi al fondo di una mal celata disperazione Sean decide di assumere un lavoratore migrante latino-americano di mezza età, sposato con cinque figli a carico, Ernesto (Alejandro Patiño). Formalmente Ernesto, uomo un po’ grossolano ma dall’aspetto bonario, dovrebbe ridipingere il pavimento del suo terrazzo, ma i giorni necessari per portare a termine il lavoro diventano per Sean la scusa per cercare in lui un nuovo amico a pagamento disposto ad ascoltare i suoi pensieri e a condividere le sue emozioni.

Ernesto e Sean vivono in una Los Angeles tanto diversa da quella che siamo abituati a vedere solitamente sul grande schermo. La L.A. di Papi Chulo è una città dispersiva in cui è facile perdere l’orientamento, fatta di spazi e colori ampi, di strade piene di cose ma al tempo stesso vuote, è luminosa e calda ma capace anche di cambiare e diventare improvvisamente grigia, umida e fredda. Questi ambienti e l’imprevedibilità del tempo meteorologico rimandano all’imprevedibilità stessa della condizione umana su cui ogni persona nel proprio isolamento a suo modo cerca di avere un controllo che sfugge di continuo. Il solo equilibrio possibile sta invece proprio in quei rapporti umani così difficili da coltivare.

Papi Chulo è una commedia fatta di colori, trovate spassose, sentimenti e riflessioni. La buffa, quasi assurda amicizia che si sviluppa tra Sean ed Ernesto sembrerebbe lo spunto per gettare uno sguardo sorridente e divertito sulla strana convivenza in un’unica grande città di due culture e ceti sociali profondamente distanti: la middle-class bianca e la classe operaia latino-americana. È però proprio la capacità dei due personaggi di riuscire a superare quelle barriere linguistiche, razziali e sociali che li dividono a rivelare l’universalità del bisogno di connessione che accomuna ogni individuo.

L’abbandono, la solitudine e il lutto sono sentimenti che non hanno nazionalità e John Butler, regista irlandese in America, riesce a portarli sulla scena con leggera freschezza. I facili stereotipi su cui inizialmente il film sembra ironizzare, sono superati nella storia da un’osservazione più profonda dell’animo umano che non conosce classi sociali, razze e nemmeno generi.

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