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Siamo noi che paghiamo i lager libici

Proprio ieri, 2 novembre 2019, è stato superato il limite massimo temporale che consentiva di apportare delle modifiche agli accordi che l’Italia ha preso con la Libia nel 2017 relativi alla gestione dei migranti. In sostanza questo accordo si rinnova in modo automatico se nessuna delle due parti in causa propone delle modifiche in un determinato periodo di tempo prima della scadenza.

L’accordo con la Libia ed ovviamente il suo rinnovo è al centro di polemiche da molti anni. Non solo questo, in realtà, perché sono proprio i rapporti con il paese africano, nel loro complesso, ad essere frutto di discussioni scaturite principalmente dal modo in cui i flussi migratori vengono gestiti dalle autorità libiche. I rapporti delle autorità e degli enti internazionali come l’ONU descrivono in modo drammaticamente chiaro le atrocità a cui gli esseri umani vengono sottoposti nel momento in cui finiscono nei centri di detenzione, definiti veri e propri lager libici.

«Una donna di 22 anni, che è stata portata al centro di detenzione governativo di Surman, in Libia, dopo essere stata intercettata durante la traversata del Mediterraneo, è stata torturata da due guardie. È stata costretta a spogliarsi, poi gli sono state legate le caviglie con due corde, la testa fermata da una barra di ferro. Poi è stata picchiata con dei tubi di metallo. Quando ha parlato con i funzionari delle Nazioni Unite aveva ancora i segni delle torture sulle caviglie e sul ventre, più di un anno dopo». Il rapporto rilasciato dalle Nazioni Unite sulle gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità libiche è pieno di queste testimonianze. «Reclusione arbitraria, percosse, bruciature con ferri caldi, torture con cavi elettrici, molestie e violenze sessuali, con l’obiettivo di estorcere soldi alle famiglie attraverso un sistema complesso di money transfer. Spesso alcuni di loro sono venduti e comprati da diversi gruppi criminali e gli viene chiesto di pagare dei riscatti prima di essere portati sulla costa per provare a fare la traversata. Le donne e le ragazze hanno raccontato all’Unsmil di aver subìto violenze di gruppo o di aver assistito alle violenze subite da altre». Non è un caso che proprio le Nazioni Unite abbiano parlato di “inimmaginabili orrori”.

 

Oltre al rinnovo dell’accordo vi è poi da considerare il capitolo finanziamenti. Mentre assistiamo tutti ad un trattamento che ricorda in moltissimi aspetti quello a cui venivano sottoposti i prigionieri dei campi di concentramento costruiti dai nazisti, dobbiamo inoltre essere consapevoli del fatto che i nostri paesi, facenti parte dell’Unione Europea, continuano ad elargire larghe somme di denaro al governo della Libia. Solamente il governo italiano ha già fornito più di 150 milioni di euro, insieme ad altri paesi europei. Tuttavia conoscere la vera realtà di queste somme è praticamente impossibile, poiché proprio sulle cifre stanziate vi è gran segreto in tutta la UE. Come riporta Avvenire, il premier libico al Sarraj nel 2017 ha presentato una vera e propria lista della spesa in cui richiedeva: «10 navi, 10 motovedette, 4 elicotteri, 24 gommoni, 10 ambulanze, 30 fuoristrada, 15 automobili accessoriate, almeno 30 telefoni satellitari ed equipaggiamento militare non sottoposto all’embargo sulle armi votato dall’Onu».

Altro elemento che inquieta in modo particolare è la costituzione delle milizie libiche che si occupano di sorvegliare le zone che sono interessate dalla partenza dei flussi migratori. Non è infatti chiaro da chi siano composte queste forze militari, vi è anzi la quasi certezza che al loro interno ci siano contrabbandieri ed organizzazioni criminali che si occupano anche della tratta di esseri umani.

In realtà non pare ci sia molto interesse da parte delle istituzioni a chiarire questo aspetto. Da quanto è emerso dalle inchieste condotte da Reuters, Associated Press e Le Mond, dietro a questa diminuzione ci sarebbero delle trattative condotte proprio dall’intelligence italiana con la Brigata 48, il gruppo militare del clan Dabbashi, alla quale il nostro paese avrebbe addirittura comprato armi ed attrezzature militari proprio per rallentare le partenze. L’altra pista, sostenuta con più forza da Reuters, vede invece il premier libico in contatto con lo stesso clan per rallentare le partenze dalle proprie coste. Qualunque sia la verità tra queste due, rimane il fatto che il nostro paese, insieme agli altri europei, finanzia chi detiene i migranti nei lager libici.

Come sottolineato da Alessandra Sciurba, portavoce di Mediterranea Saving Humans, in un’intervista a il manifesto, l’Unione Europea si sta autonomamente mettendo al centro di un sistema di ricatti in cui i primi a rimetterci sono gli ultimi, come al solito. Quanto avviene con la Libia, che rende i paesi europei e l’Italia in particolar modo vittima di questo sistema a dir poco criminale, è lo stesso che sta accadendo con Erdogan. Il premier turco infatti può più o meno fare ciò che preferisce, poiché il rischio è che rilasci in Europa milioni di migranti trattenuti lungo i propri confini, arrivati peraltro grazie a tratte disegnate proprio dalla nostra politica.

L’Europa, che continua a vantarsi della propria tradizione filosofica e politica, che si erge a storico stendardo della democrazia e delle libertà, continua invece a riempire la propria storia di incoerenza e di inciviltà. Mentre decine di migliaia di persone vengono brutalmente torturate e uccise, i paesi occidentali voltano lo sguardo, fingendo che tutto vada bene affinché la questione migratoria non rientri nelle proprie agende politiche più di quanto non sia già presente.

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