Ridurre l’errore al minimo: storie in divisa e tutto (o quasi) ciò che c’è dietro
Viaggiare con Trenitalia ha i suoi risvolti positivi. Una volta abituata ai ritardi immotivati e alle quantità minime di ossigeno nei vagoni causa sovraffollamento, impari che sul treno la gente è più propensa a socializzare per non si sa quale curioso meccanismo psicologico. E figurarsi: per una ficcanaso come me, è il paradiso.
Infatti è proprio sul treno che ho incontrato E. I., di Napoli, 24 anni, militare da quando ne aveva 19. Un “posso?” da parte mia, indicando il posto libero di fronte a lui, un “ma certo” da parte sua, e la conversazione si è avviata senza nemmeno accorgercene. Ed è lì che mi è partita la scintilla, l’idea. Con il massimo tatto di cui sono capace, gli ho chiesto se avesse voglia di rilasciare una piccola intervista che avevo in mente da un po’ ma che non avevo mai avuto l’occasione di fare- e che si è presto risolta in una tranquilla chiacchierata. E quindi eccoci, su un treno, due perfetti sconosciuti con un telefono a registrare le parole e la promessa di dire solo la verità, nient’altro che la verità che nemmeno in Tribunale.
Allora. Direi di partire dall’inizio. Mi stavi dicendo che fai parte dell’Esercito…
Cosa abbastanza scontata visto che porto la divisa. Comunque sì, faccio parte dell’80° Reggimento di Roma. Che però fa capo a Viterbo e si trova a Cassino. E io sono di Napoli. Eh.. è un po’ complicato spiegarti tutto il giro che faccio, comunque sì, sono parte dell’Esercito italiano. Fieramente, aggiungerei. Ormai da cinque anni, quasi… mi sono arruolato subito dopo le superiori.
L’80° Reggimento di cosa si occupa?
In linea generale, siamo riconosciuti come Scuola di Applicazione- che serve a perfezionare gli ufficiali, semplificando il percorso. Il mio Reggimento è specifico per la formazione degli Allievi Sergenti. Siamo la cosiddetta “Arma di Fanteria”.
Hai sempre voluto fare il militare?
Vorrei rispondere di sì, ma ti ho promesso di essere totalmente onesto e, quindi no. Non ho voluto sempre fare il militare. L’ho deciso, strano a dirsi, in quinto superiore quando il professore di storia ci chiese di approfondire un particolare momento storico… sai quelle cose che si fanno in funzione della maturità, come per dire “se non sai nulla di nulla, almeno quello che hai approfondito sappilo”. Ecco: io decisi di occuparmi della Seconda Guerra Mondiale.
E’ paradossale che il tuo voler entrare nell’Esercito sia nato dallo studio della guerra peggiore che…
Non fraintendere, eh. Non sono un pazzo che non vede l’ora di sparare a caso. Non siamo fatti così, non siamo matti. Sentiamo il peso delle responsabilità molto più di qualsiasi altro assassino che prende e spara per la strada o di quegli esaltati che si sono fatti saltare per aria in Francia. Quelle pagine su quel libro – che poi mi credi non me le hanno chieste agli esami? – hanno dato una scrollata al mio senso del dovere. E mi sono solamente ritrovato a pensare che volevo proteggere il mio popolo. E’ stata una reazione contraria: mi sono arruolato perché non voglio che accada più nulla di simile.
Ma tu che cosa intendi con “popolo”? Gli italiani, gli europei? Chi è il tuo popolo?
Perché mi suona come una domanda trabocchetto? Del mio popolo fa parte chiunque sottostà alle leggi del mio Paese. Se sei nato qui, anche se i tuoi genitori sono dell’Uruguay o del Kenya, tu sei italiano. Loro no, certo, loro sono uruguayani o kenioti, ma tu, che nasci qui e vieni registrato qui, tu per me fai parte del mio popolo. I tuoi genitori non fanno parte del mio popolo, ma se sono gente onesta che lavora e si trova nel mio Paese per costruirsi un futuro migliore, io proteggo anche loro.
E’ un discorso molto umano, molto anti-Salvini.
Lasciamo fuori la politica, io non ci entro in quella roba.
Non ti occupi di politica? Non hai hobby o cose così?
Tesoro mio, da quando la politica è diventata un hobby? La politica è una cosa seria e no, non mi occupo di politica perché la ritengo ormai una cosa troppo sporca in cui mettere le mani. Di hobby veri e propri ne ho molti, mi piace la musica e il cinema, leggo tanto. Certo, quando mi è possibile vista la vita che faccio.
Te ne sei pentito?
Assolutamente no. Delle volte vorrei avere più tempo per me o per la mia famiglia. Ho amici che non vedo da una vita, e la mia ragazza è così comprensiva… fa quello che può per stare con me e nemmeno una volta l’ho sentita dire “non ce la faccio”. Lei studia all’Orientale. Comunque no, non me ne sono pentito. Amo ciò che faccio.
Voi militari mi date sempre la sensazione di essere le persone più posate esistenti al mondo… sempre così calmi, razionali, impeccabili, perfino nelle pose da assumere in pubblico… mi domando se poi nella vita di tutti i giorni siete così o l’esatto opposto.
Non posso parlare per tutti, siamo persone e come tale nessuno è uguale ad un altro. Ma posso dirti due cose: innanzitutto che uno non fa il militare. O sei o non sei militare, non lo diventi. E chi lo è, deve solo aspettare quella cosa che gli dà lo sprint per imbarcarsi in questa esperienza che, a prescindere dal resto, è comunque profondamente formativa. Quindi sì, inevitabilmente determinati atteggiamenti, anche nella postura come dici tu, ti accompagnano anche quando non indossi la divisa o non sei in servizio.
Ed è positiva come cosa? Non vi pesa, per esempio, essere obbligati a fare determinate cose o a non poterne fare altre?
Fa parte del gioco, cara mia. Dire se pesa o meno è un po’ difficile, perché per abitudine ti impratichisci a qualasiasi cosa, credo. E’ così, non è che ti soffermi più di tanto a pensarci. Come l’obbedienza agli ordini: se qualcuno ti dice “spara o ti ammazzano” magari le prime volte un po’ di titubanza c’è, ma con quel “ti ammazzano” ti stanno dicendo che c’è in gioco la tua vita e quella dei tuoi compagni.
E quindi spari.
Sì, sparo.
Mors tua, vita mea, insomma.
Sì, esatto. E lo dico senza vergogna. Se una persona ti stesse di fronte con una pistola puntata verso di te e tu ne avessi una a portata di mano e quella persona stesse per spararti, vuoi farmi credere che non ti salveresti la pelle?
… suppongo di sì. Ma quindi voi mettete in pratica la legge del più forte… solo il prepotente sopravvive?
Sopravvive chi ha un addestramento adatto. Sopravvive chi è adeguatamente preparato alla missione. Sopravvive il più compiuto, il più pronto, non il più prepotente. Anzi no, purtroppo a volte vince il più prepotente, ma di solito mai dalla parte del giusto.
A chi ti riferisci in particolare?
Pensavo mi avresti chiesto chi è che sta nella parte del giusto, sarò sincero. Comunque avevo in mente tutti i nostri colleghi che hanno perso la vita contro talebani e simili. Là, per quanto pronti, hanno comunque vinto gli altri, i prepotenti.
Prepotenti e vigliacchi.
Oh, sì, prepotenti e vigliacchi, ma quella è un’altra storia e sta a voi giornalisti raccontarla.
Sì, quel “voi” mi suona male, ma mi pare che tu abbia una buona impressione dei giornalisti. Di solito non è così.
Col lavoro che faccio ne conosco pochi. Ma quelli che ho avuto il piacere di incontrare sono sempre stati educati e professionali, almeno giù da me. Certo, so che ce ne sono molti che non sanno nemmeno fare il loro mestiere, ma direi che ogni lavoro se svolto secondo norme e regolamenti anche morali sia più che utile alla società.
E il vostro, a livello morale… l’essere un soldato cosa implica?
Implica tante cose, veramente tante cose. Implica prima di tutto sacrificio. Predisposizione naturale, forse. Implica stare lontani dalla propria casa e dalla propria famiglia, spesso per periodi imprecisati e piuttosto lunghi. Implica essere consapevoli che ci sono delle persone preoccupate per te e che quando torni non possono fare a meno di chiederti come stai, anche se tu non vuoi parlare. Implica anche fare i conti con se stessi. Forse soprattutto questo.
In che senso?
Scoprire i propri limiti, le proprie mancanze e lavorarci su. Molti pensano di entrare ed è già tutto ok. Sì, entrare è un gran bel passo, ma è da lì che bisogna lavorare sodo e non solo fisicamente e psicologicamente, anche e soprattutto a livello inconscio. Essere se stessi anche in una caserma e scoprire i propri punti deboli non rende solo persone migliori, rende anche soldati più efficienti. E’ un discorso che andrebbe esteso a tutti però. Conoscere se stessi è già essere migliori, in tutti i campi.
Difficile, come tema. Anche molto delicato. Perché significa abbassare molte maschere e molte difese, è rendersi vulnerabili, è molto pericoloso… e tu vieni a dirmi che significa essere soldati perfetti.
No no no, mai detto questo. Cara, non siamo mica superuomini. Anzi, siamo come tutti gli altri. Con un senso del dovere più spiccato, tutto qui. Essere consapevoli di se stessi e di chi ti sta intorno ti aiuta a comprendere meglio cosa puoi e cosa non puoi fare, riducendo gli errori al minimo. Che poi è il nostro lavoro: ridurre l’errore al minimo.
Ma tu dopo settimane o mesi che non vedi casa tua e ci torni, come ti senti?
E che non mi vedi? Sono così felice che se mi si presentasse qua di fronte un kamikaze gli stringerei la mano e lo inviterei a pranzo a casa mia! No, scherzo ovviamente. Ma noi napoletani siamo così legati a Napoli che più che casa è come una mamma. Napoli è Napoli, è la vita mia, le voglio bene come a una sorella. Napoli è la motivazione che mi spinge a proteggere il mio popolo. E se mi si presentasse ora un kamikaze qui, farei quello per cui sono stato addestrato: proteggere.