Lauree nel turismo e industria del settore: un dialogo interrotto da far ripartire
Esigenza di una nuova progettualità nel settore turistico e le nuove opportunità lavorative che questo campo offre ai giovani laureati in scienze del turismo, e corsi di laurea affini. E’ quanto si è discusso in un convegno tenutosi nella facoltà di lettere e filosofia dell’università di Tor Vergata il 27 giugno.
Stando ai dati emersi nei vari interventi, le cose non non stanno andando nel verso giusto per gli studenti universitari del settore. Infatti il comparto turistico dopo il forte calo di assunzioni registrato nel 2012, ha subito un’ulteriore flessione nel primo trimestre del 2013, attestandosi su un -12,9% di assunzioni rispetto a quanto era stato previsto.
Altro dato su cui riflettere è che le figure attualmente più ricercate dalle aziende, appartengono al cosiddetto turismo dei servizi (cuochi, camerieri e baristi) e sembrano poco compatibili con le competenze, di livello superiore, maturate dagli studenti nei corsi di laurea in scienze del turismo.
Dovendo individuare dei possibili sbocchi occupazionali per questi ultimi, alcuni addetti ai lavori, operanti nel settore pubblico, hanno individuato nell’imprenditorialità dei singoli e nei progetti “dal basso” dei possibili punti di svolta per la comatosa situazione occupazionale dei laureati. In questo senso, Andrea Babbi, direttore generale dell’Enit, ha sintetizzato in tre punti la possibilità di ricavare opportunità lavorative, in periodi di crisi: inventare nuove professioni, guardare con fiducia il futuro, lanciarsi nel mercato del lavoro con nuove idee.
E ancora, secondo Flavia Maria Coccia, direttore operativo Isnart, dovrebbero emergere nuove professionalità, come ad esempio l’organizzatore di eventi, o il procacciatore di risorse finanziarie. Profili professionali che si legano al fund raising, e al project financing: ambiti questi poco battuti, ma che darebbero un nuovo slancio al settore turistico-culturale. Sostanzialmente nel caso del fund raising, ci si riferisce ad una ricerca di fondi privati per la sponsorizzazione di iniziative, mentre nel caso del project financing, un soggetto, o un ente si occuperebbe invece di prendere in gestione in toto un luogo della cultura, attraverso un investimento iniziale, per poi rientrarne nel corso degli anni, ammortizzando i costi sostenuti, con un piano di rientro, garantito da quel bene culturale. Tuttavia è stata anche evidenziata la necessità di semplificare, sotto il profilo amministrativo e burocratico, le pratiche per favorire la nascita e lo sviluppo di questi modelli di autofinanziamento, legati all’imprenditoria culturale.
Nella seconda parte del convegno si è parlato poi delle cosiddette “skills” (abilità), che gli studenti di questi corsi di laurea dovrebbero aver maturato durante la loro formazione universitaria per adeguarsi alle richieste del mercato del lavoro.
A tal proposito, Fabio Giangrande , direttore commerciale di Albatravel, parlando di quelle che ruotano attorno alla gestione del cliente, della vendita e delle attività di post vendita, ha affermato che i requisiti più importanti per approcciare questi ambiti, sono basati sul possesso di buone basi di economia, di comunicazione, ma anche di quelle inerenti le nuove tecnologie, con riferimento a tutto ciò che attiene alla sfera dei social network.
A conclusione dello stimolante confronto, la sensazione, dopo aver ascoltato ‘le due campane’, è che permane un divario tra i professionisti operanti nel turismo, e coloro i quali vivono e lavorano nel mondo accademico. Rimangono due contesti difficili da far comunicare, ma che potrebbero e dovrebbero tendere in modo sinergico a una nuova alleanza. Come? Trovando degli anelli di congiunzione, per esempio a partire da quelli che la comunicazione digitale propone. In particolare le università dovrebbero rinnovare da un lato la didattica dei corsi (più laboratori e più attività di stage) e dall’altra a creare figure professionali sufficientemente ‘skilled’ da poter incontrare le esigenze dalle aziende. Per fare solo qualche esempio pensiamo alle figure richiestissime di web designer, web comunication manager, e web marketing manager declinate però in un’ottica del mercato del turismo, dei beni culturali e e di quelli naturalistici. E’ lecito pensare che queste figure professionali di nuova generazione avrebbero qualche possibilità in più di inserimento in un’economia in forte espansione sul versante dell’e-commerce. Un’utopia? No. Solo una mancanza preoccupante di visione prospettica da parte di senati accademici dove il fattore anagrafico di chi vi siede diventa un ostacolo insormontabile per innescare l’improcastinabile innovazione sul piano della metodologia e dei contenuti.
Massimo Pasquetto
1 luglio 2013