Manifestazioni in Georgia: riflesso di una spaccatura politica?
Lo scorso 17 aprile, migliaia di georgiani hanno manifestato per le strade della capitale contro la votazione di una legge “sull’influenza straniera”, giudicata troppo vicina alla legislazione russa e ritenuta troppo restrittiva nei confronti delle libertà di associazione. Se questo evento mette in luce le spaccature che esistono in seno alla vita politica georgiana, sottolinea anche la vulnerabilità di Tbilisi nei confronti del suo vicino russo, percezione che è andata sempre più rafforzandosi dall’inizio della guerra in Ucraina.
Cerchiamo intanto di capire in che contesto politico rientra questa legge e perché viene giudicata pericolosa e liberticida da parte della popolazione.
La società georgiana è molto frammentata. I giovani sono più europei, ma anche più atlantisti e molto attaccati alle libertà civili, rispetto alle generazioni più anziane, preoccupate a mantenere delle buone relazioni con la Russia, scottati dalla dolorosa esperienza dell’invasione della Georgia nel 2008. Questa divisione è stata una costante negli ultimi anni. Per esempio, alle elezioni politiche del 2020 l’opposizione che riteneva che queste fossero state truccate, si è rifiutata di occupare i propri seggi in Parlamento. Il Partito di maggioranza, il Sogno Georgiano, ha così governato da solo per qualche mese. Evidentemente, un Parlamento senza opposizione non è un Parlamento. All’epoca, l’Unione Europea e Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, hanno usato tutti i mezzi a loro disposizione per trovare una soluzione e far tornare l’opposizione in Parlamento. Malgrado ciò, la frattura è ormai insanabile nella società georgiana tra coloro che vogliono mantenere buone relazioni con la Russia, a costo di alcune concessioni, e coloro che vogliono assolutamente avvicinarsi all’Unione Europea e alla NATO.
La legge, nata per contrastare le ONG riprende il quadro normativo di una legge russa che non solo coinvolge le associazioni, ma va anche contro gli individui. Nel progetto di legge georgiano, si vuole definire “agente operante a vantaggio di una potenza straniera” coloro che percepiscono più del 20% dei loro finanziamenti dall’estero. Il governo aveva già provato a far passare questa legge un anno fa, e già c’erano state grandi manifestazioni che avevano portato al ritiro della proposta.
Oggi, il capo del Governo, membro del Sogno Georgiano, il Partito al potere, ha la maggioranza in Parlamento. Il progetto è stato di nuovo messo sul tavolo e il Parlamento ha votato in prima lettura, 83 voti contro 0, una prima versione della legge. Ma parte della popolazione non accetta questo allineamento con la legislazione russa.
Va detto però che questo tipo di legge esiste un po’ ovunque, compresi gli Stati Uniti. La sola differenza sta nel fatto che in Russia e in Georgia, l’applicazione della legge da parte della magistratura non lascia alcuna possibilità di interpretazione: qualsiasi richiesta del governo verrà soddisfatta cosa che gli permetterà di sanzionare qualsiasi ONG o associazione che non vanno nella direzione giusta, la sua.
Ma se, di fatto, le repubbliche separatiste di Abkhazia e Ossetia del Sud sono appoggiate da Mosca, la Georgia ha ufficializzato la sua candidatura di adesione all’Unione Europea nel dicembre del 2023. A che punto sono allora le relazioni tra i due Paesi? La guerra in Ucraina ha risvegliato i ricordi della guerra del 2008 e accelerato in qualche modo la vena pro-europea in Georgia? Va detto che l’80% della popolazione è a favore dell’adesione all’UE, compresi molti membri della maggioranza. Da molto tempo il sogno europeo è parte della società georgiana. Semplicemente, una parte di georgiani ritiene che vadano mantenuti buoni rapporti con la Russia.
La Georgia è in contatto diretto con la frontiera russa: quando scoppiò la guerra del 2008, le truppe russe hanno invaso, attraverso il tunnel Roki, l’Ossetia del Sud e appoggiare i secessionisti contro Tbilisi. La popolazione più anziana è cosciente di questa debolezza. Malgrado ciò, la maggioranza vuole entrare in Europa: lo status di candidato gli è stato concesso nel dicembre, ma in modo condizionato (a differenza di Ucraina e Moldavia per le quali i negoziati sono cominciati subito). La candidatura della Georgia verrà giudicata in base alle prestazioni della società georgiana nel campo dei diritti umani e dello Stato di diritto. Ogni volta che ci sono difficoltà per via di leggi che colpiscono funzionari stranieri o che mirano a sanzionare la propaganda LBGT, si ritarda l’apertura dei negoziati con l’UE.
È ovvio poi che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia abbia fatto capire alla Georgia quanto fosse vulnerabile, anche se il desiderio di avvicinarsi all’Unione Europea è molto più radicato, stabile e antico.
Viste le tensioni politiche in Georgia e la rimodulazione progressiva di Mosca nel conflitto tra Armenia e Azerbaigian, viene anche da chiedersi se la guerra in Ucraina abbia influito sulla politica russa nel Caucaso.
È innegabile che la guerra in Ucraina abbia indebolito la mano russa nel Caucaso. Pochi giorni fa i Russi hanno deciso di ritirare 2.000 soldati della missione di mantenimento della pace e 400 veicoli che dovevano garantire la sicurezza degli Armeni nell’Alto Karabakh. Mosca ha deciso di ritirarli, perché è stato l’Azerbaigian (che ha ripreso il controllo della Regione), a ritenerli inutili, visto che quasi tutti gli Armeni sono andati via. Inoltre, l’Armenia ha giudicato che la Russia non aveva dato l’appoggio atteso nel quadro dell’Organizzazione del trattato per la sicurezza collettiva (OTSC) che è un’organizzazione per la sicurezza patrocinata dalla Russia, e anche nell’ambito del quadro di accordi bilaterali di difesa e sicurezza che l’Armenia ha firmato con la Russia nel 1992. Nikol Pachinian, Primo ministro armeno, ha ritenuto che la Russia avesse fallito nel suo ruolo securitario e si è avvicinato all’Unione Europea e agli Stati Uniti.
Meno di un mese fa si è tenuto un summit a margine di una riunione a Bruxelles dove Pachinian ha incontrato Ursula Von der Layen, Joseph Borrel e Anthony Blinken. Il Primo ministro armeno conta sull’Unione Europea e gli Stati Uniti per garantire la sua sicurezza, ma conta anche sulla sua sua capacità a negoziare un trattato di pace con Baku. È difficile conoscere la portata di questo progetto perché delle basi russe sono ancora presenti in Armenia, il trattato bilaterale non è stato ancora sconfessato e se l’Armenia ha sospeso la sua partecipazione all’OTSC, ne fa ancora parte.
Pertanto, la questione è capire chi sarà in grado di far pressione sull’Azerbaigian per evitare che metta a frutto la sua superiorità militare per continuare a prendersi pezzettini di frontiera e piccoli villaggi frontalieri e soprattutto per assicurare un corridoio che colleghi il territorio azero con l’enclave del Nachičevan.
Se il Primo ministro armeno pare voglia avvicinarsi all’Occidente, sa bene quanto sia rischioso perdere le garanzie russe. Ovviamente i russi non sono contenti di questo avvicinamento così come non sono affatto felici per i tentativi di negoziato tra Baku e Erevan senza la sua mediazione. Non è escluso che ora non si muovano più per frenare gli appetiti Azeri, mentre l’Unione Europea è un po’ in difficoltà per la sua dipendenza dal gas e petrolio di Baku.
La Russia spera ancora, nonostante la sua posizione indebolita, rimanere arbitro in questo intricato gioco.
In Georgia, la parte di opinione pubblica a favore dell’accelerazione dell’avvicinamento con l’Occidente si farà sentire sempre di più per via del prolungarsi della guerra in Ucraina. Il governo è diviso tra il Primo ministro Irakli Kobakhidze, l’ex capo del Partito Sogno georgiano animato dall’oligarca Bidzina Ivanichvili e una presidente, Salomé Zourabichvilli, ex diplomatica francese, eletta nel 2018 con una lista indipendente, ma attivamente filoccidentale. Anche se il Presidente non ha molto potere, né prerogative, il potere stesso è diviso visto che il governo è abbastanza propenso a mantenere buoni rapporti con Mosca. Il governo ha più volte tentato procedimenti di “impeachment” contro la Zourabichvilli, tutte andate a vuoto.
La società divisa e le regioni di Ossetia e Sud dell’Abkhazia, riconosciute dalla Russia come Stati indipendenti, sono pesanti elementi di disturbo per l’equilibrio della vita politica georgiana. Ma per la Russia, che ha ancora buone carte in mano, sono una sorta di asso nella manica nonostante il suo gioco si sia indebolito.
Per ora, l’asset di Mosca è l’autoritario presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliev, con il quale ha mantenuto buoni rapporti e che è in realtà il vero padrone del gioco grazie ai suoi idrocarburi e al sostegno della Turchia.